Può passare molto tempo tra il momento in cui si avverte il bisogno di un aiuto psicologico e la richiesta vera e propria di questo aiuto. La relazione terapeutica rappresenta qualche volta l’ultima spiaggia, la soluzione residuale di un percorso di ricerca e sofferenza, di silenzio o di illusione. L’irrazionalità di “potercela fare da soli” è spesso alla base stessa di un modo di pensare insidioso. Se l’imperativo di essere autoterapeuti è la punta di un iceberg che rivela l’impossibilità a fidarsi, l’illusione della totale autosufficienza, il dovere forte di essere forti, allora è proprio l’avvicinarsi iniziale alla relazione terapeutica che può illuminare il cammino psicologico. Determinati atteggiamenti in seduta sono una lampante riedizione delle proprie relazioni. La consapevolezza della loro presenza e l’ampliamento dei modi di relazionarsi sono lo scopo di un percorso che mira a modificare la cognizione, la comunicazione, le emozioni e gli stati neurofisiologici disturbati. Scegliere uno psicologo può essere semplice, proseguire e arrivare al profondo con impegno e costanza, con coraggio e distensione rappresenta il lavoro più duro che deve fare il paziente. Egli, come dice Confucio, “Se al mattino ha sentore della strada giusta, la sera può morire senza rimpianto”. E’ dal mattino, dall’inizio delle sedute, che è possibile far morire quegli stili di pensiero e di atteggiamento che rappresentano l’ultimo ostacolo alla richiesta di aiuto. Conoscersi tra psicologo e paziente significa cercare la strada giusta insieme, in un perfetto equilibrio tra esplorazione e ricarica, tra attraversamento del dolore e gestione delle emozioni e degli stati d’ansia. Solo su due binari: quello dello psicologo da un lato, con la propria preparazione accademica, personale e spirituale, e quello del paziente dall’altro, con la propria meravigliosa e leggittima unicità, la relazione di aiuto parte per un viaggio nel più meraviglioso dispositivo esistente: il cervello. La coerenza della definizione dell’incontro tra psicologo e paziente non immunizza il rapporto terapeutico da colpi essenzialmente legati a una dimensione fondamentale: la costanza. Costanza del paziente e del terapeuta, che sfidano con creatività i problemi esistenziali. La comunicazione aperta e libera con lo psicologo può temprare innanzitutto quella costanza necessaria a un periodo di riabilitazione esistenziale e di soluzione. Lo psicologo diventa quindi sì tecnico, scienziato della mente, ma al centro del suo lavoro c’è la relazione e la comunicazione. Lo psicologo insieme al paziente quindi attraversa le proprie emozioni, sensazioni, conoscenze, e penetra anche attraverso la propria esperienza personale di dolore. La relazione terapeutica è quindi un abbraccio umano prima che tecnico, e la scienza cognitiva contemporanea l’ha arricchita di conoscenze, soluzioni, strade per l’integrazione tra il corpo e la mente.